Students Youth Adult Reading Education Knowledge Concept

di Della Passarelli

Dopo la pubblicazione dei dati Istat sulle percentuali di lettori nel nostro paese su Repubblica del 29 dicembre Paolo Di Paolo riporta la questione della lettura a questione politica. Cosa che ritengo sana e giusta. Concordo con lui e con gli altri – come Christian Raimo, Giulio Blasi che non si tratta di far passare la lettura come piacere, ma bisogna che chi governa inizi a rendersi conto di quanto possa essere rischioso avere un paese non tanto che non sappia godere di un romanzo, ma che non eserciti quella parte di cervello che abbiamo impiegato millenni a sviluppare, che è apprendimento complesso e faticoso per un bambino: il cervello che legge è funzionale e importante per l’esercizio di democrazia.

Al di là dei dati su quanti leggano, appare incomprensibile come sia possibile che si confonda la situazione dei migranti che approdano sulle nostre terre, in fuga da dittature, da povertà insostenibili, e quella di ragazzi e ragazze nati e cresciuti sul nostro suolo patrio, ai quali va doverosamente riconosciuta una cittadinanza che di fatto già è. Ci sentiamo accerchiati, minacciati da generici stranieri, eppure, sempre dai dati Istat più recenti, sembra che i reati in Italia siano diminuiti nel 2017 rispetto al 2016. E appare oltremodo incomprensibile che si individui nel nemico da combattere e da eliminare un numero esiguo di persone che cerca un futuro migliore, mentre si tolleri un’evasione fiscale che sottrarre miliardi di euro alla comunità.

Non è detto certo che chi legge sia sempre e comunque persona migliore. Ma non dovrebbero esserci dubbi che avere cittadini in grado di riflettere, pensare, decodificare complessità, sia garanzia – come scrive Di Paolo – “di una democrazia solida – meno opaca, meno fragile”.

Giustamente Di Paolo sostiene che dovremmo interrogarci noi lettori, noi che di libri ci occupiamo, sul fatto se abbiamo intrapreso o no la strada giusta.

Ho già espresso molte volte la necessità che si lavorasse tutti insieme quelli che compongono la “filiera” del libro, con lo spirito che hanno avuto padri e madri costituenti, e quindi mettendo da parte personalismi e individualismi, affinchè questo paese abbia una Legge sul libro e sulla lettura, che riporti appunto la questione della lettura a questione politica.

Purtroppo abbiamo perso un’occasione nell’ultima legislatura perché, tra le prime proposte presentate in parlamento, grazie anche al grande lavoro del Forum del Libro, c’era proprio una legge sul libro. Il dibattito in commissione cultura alla Camera è stato intenso e aperto a molte audizioni: editori, librai, insegnanti, bibliotecari e la Commissione ha lavorato con grande impegno. Ma alla fine non si è riusciti a far sì che questa proposta diventasse legge dello Stato. Attenzione, una proposta che non entrava nel merito dello sconto dei libri (per carità, che il libro sia il prodotto che più ha bisogno di essere scontato è discorso da fare a parte) ma entrava invece molto nel merito dell’educazione alla lettura.

Sì perché forse noi – che non solo siamo lettori ma che con i libri lavoriamo – dovremmo pretendere un’educazione alla lettura. A partire dalla scuola. Pretendere che nei programmi scolastici ci sia spazio e tempo per leggere. Che vuol dire esercitare il cervello a concentrarsi, riflettere, a impegnarsi per capire. A prendere tempo. A non accontentarsi. Pretendere accesso ai libri grazie a biblioteche scolastiche, biblioteche di pubblica lettura, librerie indipendenti. Ci sono troppi luoghi in questo paese dove ancora non c’è accesso ai libri. E non serve poterli scaricare su un ipad o acquistarli su Amazon: se non si conosce il senso della lettura, non si cerca. Se non si esercita il cervello che legge, si atrofizza.

A marzo si voterà di nuovo. Forse la lobby dei lettori dovrebbe pretendere che in questa nuova legislatura ci si impegni per avere una legge sul libro degna di questo nome, con un Centro del Libro dotato di fondi e risorse per nutrire le biblioteche, sostenere le librerie indipendenti, attivare un circolo virtuoso che faccia sì che leggere sia normale e alla portata di tutti, piantandola con la contrapposizione con le nuove tecnologie (anche qui forse un cervello che legge è in grado di capire che sono due cose diverse e magari riesce a governare meglio l’uso di social media); ci si impegni quindi a trovare forze e sostegno per crescere cervelli che leggono, magari prelevando i fondi dall’evasione fiscale.

 

(Questo intervento di Della Passarelli è stato pubblicato sull’Haffington Post del 2 gennaio 2018 http://www.huffingtonpost.it/della-passarelli/un-cervello-che-legge-fa-bene-alla-democrazia_a_23320985/)

 

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